When it comes to bullshit...


Stasera ho visto Religulous, documentario scritto e "interpretato" da Bill Maher, uno dei più famosi ed importanti stand-up comedian statunitensi.
Il film rappresenta un dissacrante e dissacrato viaggio alla nei paradossi, nelle ipocrisie e nelle doppiezze delle religioni, dei suoi portavoce e dei suoi adepti.



Bill Maher, pur risentendo, seppur non in maniera esponenziale, il passaggio dal palcoscenico alla sala cinematografica, mantiene intatta l'efficacia dei suoi speech e nonostante le risate (amare) si susseguano numerose, queste non tolgono credibilità e fondatezza alle opinioni del comico.
A prova di questo andrebbe considerato anche e solo il monologo finale di Maher, pochi minuti di riflessione sul deleterio e catastrofico valore delle religioni, tutte le religioni, nella cultura moderna.

Maher non è certamente il primo comico a trattare il tema della religioni.
Ricky Gervais ne parla spesso, David Cross pure, ma un comico più di altri ha trattato si è occupato di religione: il compianto ed inarrivabile George Carlin.

Quello che vedete sotto è, in dieci minuti, il più grande trattato sulla religione mai stato creato:



Religion easily has the greatest bullshit story ever told. Think about it. Religion has actually convinced people that there's an invisible man living in the sky who watches everything you do, every minute of every day. And the invisible man has a special list of ten things he does not want you to do. And if you do any of these ten things, he has a special place, full of fire and smoke and burning and torture and anguish, where he will send you to live and suffer and burn and choke and scream and cry forever and ever 'til the end of time.
But He loves you. He loves you, and He needs money! He always needs money!
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Zombies do not eat candies

Common Craft ci regala una meravigliosa guida agli zombie in plain english.

Attenzione agli zombie infuocati, possono essere ancora più pericolosi.




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Tv Party presenta: Psychoville

A volte bisogna rassegnarsi.
Alcune delle cose in cui si crede fermamente, tipo che i Ramones sono il miglior gruppo di sempre, che Ozpetek fa schifo e che Avatar sarà una roba inguardabile, non sempre condivise dagli Altri.
Se gli Altri tali certezze non le condividono forse non c'è troppo da stupirsi.
Basta pensare a quanti, tra quegli Altri, affermano con ostentata sicurezza:

A me l'umorismo inglese mica fa ridere. 
Pazzi!
A me fa ridere.
Tanto.

L'ultimo prodotto della commedia britannica è Psychoville, serie di sette episodi (da poco conclusi) trasmessa su BBCTWO.
Scritta da due dei quattro membri della League of Gentlemen, Pychoville incarna alla perfezione tutto quello che la sit-com inglese, magnificamente, è, e, allo stesso tempo tutto quello che la sua controparte statunitense non è.
Cos'è?
Grottesca, paradossale, scorretta, drammaturgicamente avvincente e inglese, tremendamente inglese.



La storia, nella sua forma embrionale, è piuttosto semplice. 
Sei personaggi, piuttosto diversi tra loro ma misteriosamente e macambramente uniti, diventano oggetto di altrettanto misteriosi e macabri messaggi di minaccia. 
Il primo di questi messaggi? Piuttosto chiaro "I know what you did". 
La prima grande forza di Psychoville è da ritrovare proprio nei suoi protagonisti.
Mr. Jelly, un clown senza una mano decadente nell'aspetto fisico e nella carriera; David, un giovane ossessionato dai serial killer e protagonista di un rapporto piuttosto ambiguo con la madre Maureen; Oscar Lomax è un vecchio milionario non-vedente che ha costruito la sua fortuna collezionando pupazzi di peluche; Joy Aston è un infermiera di Bristol convinta che il bambolotto con il quale istruisce le neo mamme alle cure dei neonati sia suo figlio; Robert Greenspan è una persona diversamente alta (aka nano) impegnato sul set dell'adattamento teatrale di Biancaneve ed i sette nani ed apparentemente in possesso di straordinari poteri telecinetici.
Personaggi (magistralmente interpretati dai rispettivi attori),  che vivono nel grottesco e nel paradossale, dei moderni freaks inseriti nella vita comune nonostante il loro marcato distacco nei confronti del "normale". 

Proprio nel grottesco e nel paradossale si muovono abilmente le dinamiche tipiche della commedia all'inglese: i tempi dilatati, il cinismo, il politicamente scorretto e l'inadeguato, spesso in bilico su quel confine che segna la separazione tra comicità e cattivo gusto.


Ma quello che a mio parere ha donato a Psychoville una piccola dose di novità alla sit com britannica e di aver inserito massice dosi di serializzazione e di continuità narrativa all'interno di un prodotto apparentemente destinato alla autoconclusività del racconto. 
Una serie come Psychoville, forte anche delle precedenti esperienze dei suoi autori gentiluomini, era lecito immaginarsela come uno sketch comedy show, una serie alla Monty Python fatta di brevi "scenette comiche" magari riprendendo qua e là personaggi comuni. 
Invece Psychoville non solo racconta una storia in ogni episodio ma addirittura fa della continuità interepisodica uno dei suoi punti di forza, sviluppando un racconto in sette episodi capace di generare interesse continuo e senza cali. 
Colpi di scena, twist narrativi e cliffhangers si inseriscono così in una sit-com generando una sorta di ibridazione che credo difficilmente possa costituire un esempio al di fuori del Regno Unito. 
Lì c'era Shakespeare da cui prendere esempio, oltre la manica ci sono solo network che, ancora oggi, vedono la sit-com, come il primo prodotto di appeal per le vendite pubblicitarie ed il più rassicurante dei prodotti televisivi, quello dove non importa a che punto e in che puntata si ritorna a vederlo, tutto è ancora fermo, immobile e senza aver mutato nè forma nè personaggi.
In soli sette episodi invece i personaggi di Psychoville si muovono e si spostano, nello spazio (abbandonando quella regola non scritta che vede in una sit la presenza di al massimo 3-4 locations) e nel loro stesso essere, modificandosi, cambiando ed in qualche modo evolvendosi, lasciando però intatto il loro distintivo carattere comico.
 
Sempre peculiarmente e stupendamente inglese è la maestria con cui Psychoville prende in prestito citazioni e riferimenti dal cinema, dalla televisione e dalla letteratura di genere. Archetipi, stereotipi e clichès del cinema horror, delle vecchie serie noir e della letteratura gotica vengono citati, onorati, stravolti ed utilizzati con fini comici. Magistrale a tal proprosito è tutto il quarto episodio della serie: "Give 'em enough rope", un piano sequenza di 25 minuti fatto di continue e dirette citazioni al cinema di Alfred Hitchcok.



In attesa di una seconda stagione che, seppur non ancora ufficializzata, mi sembra scontata, Psychoville è da considerasi una piccola gemma da recuperare e a cui guardare con ammirazione.

E gli inglesi fanno ridere!

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Tv Party!

Con questo post si apre la prima rubrica di Stilt.

Si chiama Tv Party e vuole raccogliere le mie recensioni/impressioni/sproloqui sulle serie tv che mi capita di vedere.

A breve il primo post.

Nel mentre mi concedo questa sigla, allright!



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I 20 film preferiti di un mento sporgente

Scoprire che a Mr. Q. Tarantino il cinema non è che faccia proprio schifo è un pò come scoprire che il presidente del consiglio di una nazione europea fatta a forma di stivale non è proprio una persona onesta. 

In attesa dell'uscita italiana del suo Inglourious Basterds (che negli U.S.A sta andando, dal punto di vista del botteghino, decisamente meglio del previsto), ecco un video dove il mento più sporgente del mondo passa in rassegna i suoi 20 film preferiti dal 1992 ad oggi.

Nella lista c'è Shaun of the Dead e quindi, anche solo per questo, valeva la pena di postarlo.



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