Da L'Arena di Verona
Quali sono i registi italiani più apprezzati e stimati dal cinema hollywoodiano? Federico Fellini? Sicuramente. Sergio Leone? Senza dubbio. Giancarlo Antognoni? Impossibile non citarlo. Una lista lunga e piuttosto malleabile ma inequivocabilmente accomunata dalla presenza costante di un elemento fuori dal coro, un insospettabile pecora nera. La pecora nera si chiama Mario Bava, il compianto regista autore di alcuni veri e propri cult-movies tra i quali, “La Maschera del Demonio”, “La ragazza che Sapeva troppo” ed “Operazione Paura”.
E’ di recente pubblicazione “Kill Baby Kill, il cinema di Mario Bava”. Edito da Un Mondo a Parte (www.unmondoaparte.it), il testo racconta il regista sanremese attraverso interviste e testimonianze di personaggi illustri del cinema americano ed italiano, opinioni di critici internazionali ed una ricca sezione di foto, di scena e fuori set. Ne abbiamo parlato con Gabriele Acerbo co-redattore del testo assieme a Roberto Pisoni.
In “Kill Baby Kill” sono presenti le testimonianze di veri e propri "mostri sacri" della cinematografia mondiale. In che modo il cinema di Bava è riuscito ad influenzare questi registi?
Negli anni ’60 i film di Bava arrivavano regolarmente in America, soprattutto nei circuiti dei drive-in e delle grindhouses. Cinefili come, tra gli altri, Joe Dante, Sam Raimi e John Landis furono folgorati dalla forza di quelle immagini, capaci di fissarsi indelebilmente nel cervello. L’eleganza e la complessità dei movimenti di macchina, i colori così accesi, la violenza sbalorditiva del cinema di Bava non poteva lasciare indifferente quello stuolo di registi che dei film ammira, soprattutto, l’aspetto visionario. Compreso Tarantino che, nel nostro libro, rivela che Bava è uno dei suoi cinque registi del cuore.
Bava è stato precursore nella realizzazione italiana di diversi generi cinematografici. Ha realizzato il primo horror gotico, il primo thriller, il primo slasher. Quale ritiene possano essere le motivazioni che hanno spinto Bava ad essere un regista ante-litteram?
Bava era un uomo colto con un amore, più che per il cinema, per la letteratura fantastica, gialla e horror. Forse questa passione lo ha spinto a trasferire queste tematiche nel cinema dei suoi tempi. Bava è riuscito a codificare per primo gli elementi del genere. Ad esempio, la figura dell’assassino mascherato con cappotto nero e guanti neri, propria di tutto il cinema giallo da Argento in poi, è un’immagine creata da Bava. Per quanto riguarda lo slasher-movie, inventato in uno dei film più amati dai fans, “Reazione a Catena”, l’intento del regista era soprattutto ironico: inventarsi morti ammazzati a ripetizione in modi truculenti e irreali per irridere il genere thriller. Poi sono arrivati gli americani che hanno tolto l’ironia e hanno costruito i loro film tutto sangue e senz’anima.
In un intervista, alla domanda "Come spiega che francesi e americani hanno apprezzato i suoi film molto più di noi?" Bava rispose: "Perché sono più fessi di noi". Fessi od in grado di cogliere qualcosa che in Italia, forse, non è stato mai recepito?
In Italia il cinema di genere è stato stroncato dalla critica che gli preferiva di gran lunga il cinema d’autore. Bava per decenni è stato considerato tutt’al più un artigiano che lavorava per l’industria, mai autore, mai un artista. E in generale, e questo discorso vale ancora oggi, i film horror e violenti di solito non piacciono affatto ai critici cinematografici.