Lunga vita al vinile


Da L'Arena di Verona

La musica oramai è divenuta il più “portatile” degli intrattenimenti (un tempo) domestici. L’avvento dei lettori mp3, probabilmente una delle più grandi rivoluzioni che la tecnologia ha saputo far scoppiare, ha reso possibile viaggiare con ore ed ore di musica contenuta nel palmo di una mano, intere discografie compresse in pochi centimetri di plastica e microchips. Una rivoluzione a tutti gli effetti che ha radicalmente modificato come, quando e dove si ascolta la propria musica preferita. Volenti o nolenti, insomma, siamo inequivocabilmente immersi nell’era della musica digitale.
Fino a non troppo tempo fa, invece, l’ascolto musicale era certamente tutto fuorché mobile. A casa, seduti di fronte all’ingombrantissimo stereo acquistato dopo mesi e mesi di sudati risparmi o magari regalato per l’altrettanto sudata promozione scolastica, ci si lasciava catturare dal suadente suono di un arcano e spesso dimenticato pezzo di plastica, anzi, di vinile. Un disco nero che festeggia proprio in questi giorni i suoi primi (e speriamo non ultimi) sessant’anni. Il 21 Giugno 1948 infatti, in una conferenza stampa che si rivelerà di valenza storica, la Columbia Records, annuncia l’ingresso sul mercato del primo LP a 33 giri.
Oggi, magari un pò malinconicamente nostalgici, non possiamo che guardare con un certo effetto a quei giorni, i giorni in cui il vinile era riuscito a rendere la musica il più metodico e passionale, rigoroso ed impulsivo, momento di svago del quotidiano. Metodico e rigoroso perchè il vinile, prima di tutto, era un rituale. Dai momenti della scelta del disco da aggiungere alla propria (ineccepibilmente e rigorosamente catalogata) collezione in cui allenatissimi polpastrelli scorrevano a velocità supersoniche lunghissime file di 33 o 45 giri, fino alla altrettanto scrupolosa conservazione del vinile, curato con le spazzole più performanti e contenuto in buste trasparenti così spesse da sembrare poterlo proteggere anche dai più catastrofici eventi.
Ma gli ascolti “vinilici” non erano solo metodo e rigore, erano anche passione, intimismo, un vero amore per la musica vista non come un semplice sottofondo ma come la più coinvolgente possibile esperienza multisensoriale. L’udito, certo, la faceva da padrone, cercando di carpire nel profondo tutte le sfumature dell’inconfondibile suono del vinile, ma anche altri sensi venivano, allo stesso tempo, straordinariamente stimolati. Come dimenticare il piacere di ammirare in ogni piccolo dettaglio le copertine “oversize” dei vecchi 33 giri, piuttosto che la quasi religiosa manualità che ci faceva appoggiare la testina del giradischi sul nostro nuovo disco.
Ed è forse proprio questo, il perfetto sposarsi di ritualità e di sentimento, che riesce a far sopravvivere il vinile nell’era del digitale. Nonostante tutto infatti, nonostante la rapida avanzata della musica in formato mp3, un non poi troppo sparuto gruppo di ascoltatori rimane fedele ai propri dischi. Spesso, quando si interrogano i cultori del vinile sul perché del loro incondizionato amore verso questo supporto, le risposte tendono a concentrarsi sugli inconfutabili vantaggi sonori degli LP. Per quanto realmente inconfutabili però, i soli vantaggi sonori forse non riescono a giustificare totalmente tale scelta. Se si sceglie di ascoltare musica su di un supporto così scomodo, oggi difficilmente reperibile e spesso propenso al logorio, non è solo perchè “si sente meglio”, forse lo si sceglie perchè il vinile permette di vivere la musica come un vero momento di assoluta e piacevole alienazione, come fosse il simbolo di un’epoca che non c’è più, un’epoca dove bastava poco per riuscire ad isolarsi dal caotico stress della quotidianità.
Solo uno stereo, dei dischi ed un orecchio attento, magari sperando che nel nostro lettore mp3 e, perchè no, anche nel nostro cellulare lampeggi compulsivamente la scritta “battery low”.

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