Tanti auguri ai soliti ignoti


Da L'Arena di Verona

“Col sistema del buco rubano pasta e ceci.” E’ questo il titolo di un articolo che rappresenta l’ultimo fotogramma di uno dei film più importanti della storia del cinema italiano: “I soliti ignoti”. Diretto a Mario Monicelli, il capolavoro della commedia all’italiana festeggia in questi giorni il suo cinquantesimo anniversario dall’uscita nelle sale.
Il titolo del fittizio articolo che chiude il film rimane piuttosto esplicativo; “I soliti ignoti” è la storia di un fallimento, la storia di un gruppo di poveri disperati che, nella cornice di una Roma ancora impegnata nella fase di ricostruzione post-bellica, decide di organizzare una rapina al Monte dei pegni. Una banda destinata al fallimento cinematografico ma, certamente, una banda composta da alcuni dei migliori attori del cinema italiano. Vittorio Gassman, fino ad allora conosciuto principalmente per i suoi ruoli drammatici, rivela al grande pubblico il suo incommensurabile talento comico interpretando il suonato pugile balbuziente Beppe detto “Er Pantera”. Al suo fianco altri grandi nomi quali Marcello Mastroianni (il fotografo Tiberio), Tiberio Murgia (Ferribotte il siciliano) ed una giovanissima Claudia Cardinale al suo esordio cinematografico. A completare un cast già di per sé di assoluto livello il principe De Curtis, in arte Totò, nelle vesti di Dante Cruciani, guru dello scasso di casseforti e prezioso, o presunto tale, consulente per la banda degli inesperti rapinatori.
“I Soliti Ignoti” ha, secondo molti, il grandissimo merito di aver rivoluzionato o forse addirittura creato un genere cinematografico, quello, già citato, della commedia all’italiana. Storicamente infatti la commedia nostrana si caratterizzava per un costante ricorso alla gag, alla risata fine a se stessa, affondando saldamente le proprie radici nella tradizione dell’avanspettacolo e del varietà. Con il capolavoro di Monicelli la comicità cerca di interfacciarsi direttamente con il reale, con il vissuto, con la drammaticità della quotidianità, come a voler tramutare in comico il neo-realismo del secondo dopo guerra.
Una comicità che vive dunque sospesa in una situazione di precario equilibrio tra due entità, tra la risata e la lacrima, tra il sorriso e la disperazione. Non esiste consolazione per i soliti ignoti, l’unica possibilità è quella di rimanere invischiati nel loro ruolo di tragico anonimato. Anche la rapina, l’ipotetica svolta che si pensava destinata a cambiare la loro vita, finisce in un piatto di pasta e ceci, forse perché, come recita in una delle battute finali del film un rassegnato Marcello Matroianni: “Rubare è roba per gente seria, mica per gente come voi! Voi, al massimo... potete andare a lavorare!”
Personaggi dunque tragicamente reali, portati sullo schermo con tutti i loro umani ma insormontabili difetti, con la loro tragica ed irreversibile empatia per il fallimento. Nel cercare di rendere efficace questo tipo di interpretazione, nuovamente rivoluzionario è da considerarsi il lavoro degli attori e dei doppiatori del film (tra cui si annovera anche la voce di una giovane Monica Vitti), in grado di rappresentare con assoluta cura e fondatezza un amplio spettro di diverse forme dialettali; dal romanesco, comunque uno dei principali protagonisti del film, al bolognese dell’indimenticabile Capannelle, dal siciliano di Ferribotte, all’improvvisato “nordico” di “Er pantera” Gassman. Tema caro a Monicelli quello dello studio della lingua italiana, sviluppato magistralmente con un altro caposaldo della cinematografia del regista: “La grande Guerra”.
Nell’era dei cine-panettoni e, come non fosse già abbastanza, dei cine-cocomeri, “I Soliti Ignoti” rimane, a cinquant’anni di distanza, il vero manifesto dell’enorme potenziale della comicità, quello, secondo Monicelli stesso: “di rispecchiare e di raccontare, non quello di fare prediche, passando dall’amore alla morte, generando un disperare che riesce, tuttavia, a far sperare: attraverso la risata.”

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